MEDICINA E POLITICA: DA SCHIAVI PER SCHIAVI
Riportiamo questo breve scritto di Francesco Bottaccioli
“Il grande filosofo greco Platone, nell’ultima delle sue opere, le Leggi, che non a caso dedica alla Politica – la passione della sua vita, quale concreto completamento e applicazione della filosofia – scrive una pagina attualissima sull’esercizio della medicina.
Riferendosi al fatto che la medicina in Grecia, nel IV secolo avanti Cristo, era esercitata sia da liberi che da schiavi, descrive due diversi modi di praticarla.
Lo schiavo medico, che spesso era l’aiutante del padrone medico, generalmente curava schiavi. “Nessuno di simili medici – scrive Platone – dà o riceve una qualche spiegazione sui casi individuali dei diversi servi, ma ordina ciò che gli suggerisce l’esperienza, come se avesse esatte cognizioni scientifiche, con la sufficienza di un tiranno, per poi passare rapidamente a un altro schiavo ammalato”.
Non c’è comunicazione quindi tra medico schiavo e paziente schiavo. Il primo non dà o riceve, dice Platone, alcuna spiegazione sul caso individuale e somministra cure, in base a quello che gli ha insegnato il padrone e non in base a proprie competenze scientifiche, con la sicurezza di un tiranno. Non c’è da capire granché ascoltando e comunicando con uno schiavo malato, che interessa allo schiavo medico solo perché è l’oggetto del suo lavoro, di quel lavoro che fa per il padrone. Per questo, prima si sbriga e meglio è.
L’altra modalità di esercizio della medicina è invece quella esercitata da medici liberi che curano cittadini e quindi persone libere, che vengono “studiate fin dall’origine e in quella che è la loro natura, comunicando le proprie impressioni allo stesso ammalato e ai suoi cari”.
Con ciò, scrive Platone, “mentre da un lato egli stesso impara qualcosa da parte dei pazienti, dall’altro lato, entro le sue possibilità, si fa maestro dell’ammalato, cui nulla prescrive senza averlo prima in un certo qual modo convinto, cercando, con la persuasione metodica, la dolcezza e la preparazione, di restituirgli a poco a poco la salute”.
È evidente che c’è un abisso tra queste due forme di esercizio della medicina e mi pare davvero sorprendente l’analogia con la situazione attuale, dove parte rilevante della medicina viene esercitata badando più ai “pezzi” (pardon, “cartelle”) da mettere nel computer alla fine della giornata, in ossequio al padrone denaro, piuttosto che allo studio del caso personale, al gusto della comunicazione terapeutica, all’aggiornamento scientifico.
Ma il risvolto più intrigante di questa pagina platonica è anche un altro: che c’entra una pagina sulla medicina in un testo ampio tutto dedicato alla Politica e quindi al tipo di costituzioni e di leggi da preferire? C’entra perché anche la Politica può essere fatta da politici schiavi per schiavi, che compiono atti (leggi) senza spiegazioni e trattano i cittadini “con la sicurezza di un tiranno”.
Il forte deficit di comunicazione che c’è tra cittadini e politici dovrebbe allarmarci molto come ci allarma il deficit di comunicazione terapeutica. Quest’ultimo caso aggraverà la malattia di una persona malata, il primo farà collassare una democrazia malata”

“…Alla luce di tutto quanto riportato nella ricostruzione dei fatti con l’anamnesi, nell’analisi della documentazione clinica esistente, nonché degli aspetti giuridici legati alla legge 210/92, è possibile affermare con ragionevole sicurezza che fra le vaccinazioni e la reazione avversa, esiste un nesso causale, o quanto meno concausale.”

“…Pur di negare il nesso causale con i vaccini, in molte occasioni vengono avanzate ipotesi assolutamente indimostrate e indimostrabili, al solo scopo di coprire le responsabilità per mancata vigilanza, anche incolpevole, dello Stato e per lui, del Servizio Sanitario Nazionale.”
…Si tratta semplicemente di ammettere che l’incidente può capitare (forse in numero superiore a quello dichiarato possibile dal Ministero della Salute), e quindi riconoscere il danno provocato, senza trincerarsi dietro la formula “…presumibilmente genetica…” per non riconoscere il danno.

In un paese civile, quale il nostro pretende di essere, riconoscere un errore, anche quando non c’è dolo, non può essere motivo di scandalo ma l’occasione per correggere eventuali distorsioni nelle procedure e nelle somministrazioni di farmaci, come appunto sono i vaccini.